Sulle condizioni che legittimano la negazione del diritto alla detrazione dell’IVA, fondata sul presupposto che il cessionario risulti a conoscenza dell’inesistenza soggettiva delle operazioni di acquisto, si registrano posizioni differenti in seno alla Corte di Cassazione, oltre a un significativo contrasto tra l’orientamento maggioritario di quest’ultima e il diritto unionale.
Emblematiche – dello stato di incertezza – risultano essere le ordinanze n. 7694 e n. 7693 del 06/04/2020, emesse dalla Corte di Cassazione a fronte di analoga fattispecie concreta, rappresentata da acquisti di autoveicoli effettuati presso fornitori rivelatisi sostanzialmente fittizi.
Tali pronunce, infatti, seppur redatte dal medesimo estensore, concludono difformemente sulla rilevanza che rivestono la natura di “cartiera” del soggetto fatturante e l’immediatezza del rapporto “fatturante-cessionario” in relazione all’onere di dover dimostrare che il soggetto cessionario fosse a conoscenza della fittizietà soggettiva delle operazioni di acquisto e dell’evasione di IVA consumata dal soggetto “fatturante”.
Orientamenti diversi in Cassazione sul diritto alla detrazione
Nell’ordinanza n. 7693 è stata confermata la legittimità della decisione dei Giudici di secondo grado che hanno ritenuto “insufficiente … la sola prova che i venditori fossero cartiere” reputando, di conseguenza, non decisiva l’immediatezza del rapporto “fatturante–cessionario”.
Viceversa, l’ordinanza n. 7694 ha ritenuto che l’onere probatorio dell’Agenzia delle Entrate “ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto” risulti “privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (cartiera), … poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente” (Cass. nn. 4428/2020, 8846/2020, 3591/2019, 2565/2019 e 17173/2019).
La soluzione giuridica offerta dalla citata ordinanza n. 7693, pur inserendosi nel minoritario filone giurisprudenziale di legittimità (Cass. nn. 20587/2019 e 9851/2018), si fa preferire in quanto risulta conforme alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea.
La posizione della Corte Europea
La Corte Europea infatti, a fronte di operazioni di acquisto fatturate da un soggetto diverso dall’effettivo fornitore, ha escluso che l’Autorità fiscale nazionale possa provare la “mala fede” del cessionario facendo unicamente riferimento al fatto che, il soggetto fatturante, risultasse privo delle risorse personali e materiali e delle attività necessarie all’esecuzione dell’operazione fatturata o alla produzione dei beni indicati in fattura (sentenze 22.10.2015, causa C-277/14, PPUH Stehcemp e 13.12.2014, causa C-18/13, Maks Pen) o che fosse sostanzialmente inesistente (sentenza citata PPUH Stehcemp).
La CGUE, infatti, nella menzionata pronuncia PPUH Stehcemp, ha riconosciuto il diritto alla detrazione in capo al soggetto cessionario sebbene la società che ha emesso le fatture risultasse un soggetto inesistente in quanto “non risultava registrata ai fini dell’IVA”, “non effettuava dichiarazione fiscale”, “non pagava imposte”, “non disponeva di autorizzazione per la vendita” dei beni fatturati e aveva stabilito la propria sede legale in un “immobile … in stato fatiscente” che, di fatto, rendeva “impossibile lo svolgimento di qualsiasi attività economica”.