Con Risposta a interpello n 41 del 21 gennaio le entrate forniscono un chiarimento sulla possibilità di riaprire la PIVA per esercitare il diritto di rivalsa. Vediamo i dati dell'interpello.
L'istante afferma che, negli anni dal 2014 al 2016, nell'esercizio della professione ha fruito, in assenza dei requisiti di legge, del regime di vantaggio per l'imprenditoria giovanile, di cui all'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98.
La violazione è stata constatata dall'Ufficio controlli della Direzione provinciale ed è seguita la definizione con accertamento con adesione già conclusasi per i periodi d'imposta 2014 e 2015 ed in fase di pagamento rateale per il periodo di imposta 2016.
L'importo più significativo delle fatture emesse senza applicazione dell'IVA si riferisce alle operazioni poste in essere nei confronti dello studio del marito, esercente anche lui la professione.
L'istante comunica di aver chiuso la propria partita IVA il 31 dicembre 2017, così come il marito il 31 dicembre 2019 che, tuttavia, ne ha aperta una nuova il 14 dicembre 2020 per svolgere la medesima attività.
Ciò detto, il contribuente istante chiede se possa avvalersi dell'articolo 60 del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito decreto IVA) con riferimento all'IVA corrisposta in sede di adesione.
In sintesi, l'istante ritiene di poter chiedere la riapertura della partita IVA al solo fine di esercitare la rivalsa dell'IVA, corrisposta in sede di adesione, nei confronti della nuova partita IVA del marito, attivata per proseguire l'attività già svolta con la precedente partita IVA. Una volta emessa la fattura, l'istante provvederà a chiudere nuovamente la partita IVA.
Le Entrate replicano che nel caso prospettato, l'istante ha la facoltà di chiedere la riapertura della partita IVA, e di emettere le note di variazione in aumento ex articolo 26, comma 1, del decreto IVA, per esercitare la rivalsa dell'imposta versata in sede di adesione, intestando il documento alla nuova partita IVA del committente, avendo cura di indicare, altresì, anche il suo codice fiscale, i riferimenti della fattura originaria e gli estremi identificativi dell'avviso di accertamento.
L'agenzia specifica che nel rispetto delle indicazioni fornite con la circolare n. 35/E, non osti al diritto di rivalsa la circostanza che l'istante abbia cessato la qualifica di soggetto IVA.
Con riferimento all'ipotesi di assenza della partita IVA al momento della commissione della violazione oggetto di accertamento, è stato chiarito che «L'omessa apertura della partita IVA non può essere sanzionata con la preclusione della rivalsa, pena la violazione del principio di neutralità dell'imposta sul valore aggiunto in ossequio al quale è stato eliminato il divieto del diritto di rivalersi dell'imposta o maggiore imposta pagata in conseguenza d'accertamento o rettifica nei confronti di cessionari di beni o committenti di servizi […]. In tale evenienza il soggetto accertato potrà esercitare la rivalsa utilizzando la partita IVA attribuitagli d'ufficio in sede di accertamento».
In altre parole, spiega l'agenzia, è stata ammessa l'apertura della partita IVA anche in un momento successivo all'attività di controllo, al solo fine di esercitare la rivalsa.
Quanto, invece, alla possibilità di esercitare la rivalsa nei confronti di una partita IVA diversa da quella indicata nell'originaria fattura, ormai chiusa, si evidenzia che in passato, la scrivente ha esaminato l'ipotesi di intervenuta estinzione del soggetto passivo acquirente, disconoscendo la possibilità di esercitare la rivalsa IVA, ai sensi dell'art. 60, ultimo comma del decreto IVA.
In entrambi i casi, tuttavia, si trattava di soggetti giuridici estinti, e quindi cancellati dal registro delle imprese.
Nel caso di specie, per come descritti i fatti dall'istante, il professionista/committente ha chiuso la propria partita IVA nel mese di dicembre 2019 per poi riaprirla a distanza di un anno per esercitare la medesima attività.
La circostanza che il committente/professionista, persona fisica, non si sia "estinto" – come accade per un soggetto giuridico – ma, al contrario, abbia poi continuato ad esercitare la medesima attività, seppur con una nuova partita IVA, consente di riconoscere una continuità soggettiva e, quindi, di attribuire, da un punto di vista sostanziale, al professionista l'identità di "committente originario", anche se fiscalmente lo stesso sia ora individuato da una partita IVA formalmente diversa da quella utilizzata nell'operazione originaria.
Una persona fisica, per sua natura, nonostante l'attribuzione di una diversa partita IVA, mantiene sempre il medesimo codice fiscale che costituisce, nel caso di specie, ai fini della fatturazione dell'IVA di rivalsa, l'elemento di continuità con il passato, laddove nel contempo il committente seguiti ad esercitare la medesima attività.
Concludendo, per quanto innanzi chiarito, nel caso prospettato l'istante ha la facoltà di chiedere la riapertura della partita IVA, e di emettere le note di variazione in aumento ex articolo 26, comma 1, del decreto IVA, per esercitare la rivalsa dell'imposta versata in sede di adesione, intestando il documento alla nuova partita IVA del committente, avendo cura di indicare, altresì, anche il suo codice fiscale, i riferimenti della fattura originaria e gli estremi identificativi dell'avviso di accertamento.