L’articolo 10 quater del Decreto Legislativo numero 74 del 10 marzo 2000 disciplina la rilevanza penale della fattispecie dell’indebita compensazione.
L’articolo individua in euro cinquantamila la soglia monetaria oltre la quale una compensazione tributaria indebita assume rilevanza penale, distinguendo tra:
- l’utilizzo di crediti non spettanti, al comma 1;
- l’utilizzo di crediti inesistenti, al comma 2.
La seconda situazione assume una posizione di maggiore gravità nell’ordinamento nazionale, in ragione della maggiore gravità del comportamento messo in atto dal contribuente.
Le definizioni di credito d’imposta non spettante e inesistente discendono invece dalla normativa sulle sanzioni amministrative previste dal Decreto Legislativo numero 471 del 18 dicembre 1997, il quale all’articolo 13 identifica come:
- non spettante (comma 4): il credito esistente ma utilizzato in misura superiore a quanto spettante oppure in violazione delle modalità di utilizzo previste;
- inesistente (comma 5): il credito, privo dei suoi presupposti costitutivi, la sua inesistenza non può essere riscontrata tramite controlli automatizzati o formali.
Anche in termini di sanzioni amministrative, l’utilizzo abusivo di un credito inesistente assume maggiore rilevanza dell’utilizzo di un credito non spettante, dato che l’articolo 13 del Decreto Legislativo 471/1997 prevede:
- la sanzione dal 100 al 200 per cento dei crediti inesistenti indebitamente utilizzati in compensazione;
- la sanzione del 30 per cento dei crediti non spettanti indebitamente utilizzati in compensazione.
Per quanto, da un punto di vista teorico, le due situazioni siano chiaramente definite, poi, nella concretezza della realtà, possono evidenziarsi circostanze fumose in cui le fattispecie riescono ad accavallarsi o persino a sovrapporsi; non mancano infatti i casi in cui al contribuente, ad esempio, per la medesima compensazione siano state contestate entrambe le violazioni.
Recentemente sul tema è intervenuta anche la Corte di Cassazione: la sentenza numero 7615/2022 scioglie alcuni nodi di non secondaria rilevanza per la questione.
Viene innanzitutto stabilito il principio dell’alternatività delle fattispecie, in base al quale una compensazione indebita può avere luogo attraverso l’utilizzo di un credito che “non può essere al contempo non spettante ed inesistente, in quanto o esso è inesistente oppure è non spettante”.
Poi viene esaminato e definito il criterio da adoperare per qualificare, in qualsiasi situazione, un credito come non spettante o come inesistente.
Infatti l’articolo 13 comma 5 del Decreto Legislativo 471/1997 individua i requisiti per la qualificazione di un credito come inesistente: la mancanza dei presupposti costitutivi e l’impossibilità a ricavare l’inesistenza da controlli formali o automatizzati.
Tali requisiti, secondo la Corte di Cassazione, non sono alternativi ma sono necessari entrambi per poter qualificare un credito come inesistente: “se manca uno di tali requisiti, il credito deve ritenersi non spettante”, dato che “si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli automatizzati o formali sulle dichiarazioni”.
Da segnalare, per ultima, una precisazione della Corte che assume particolare rilevanza in relazione all’onere della prova: “l'inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l'Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, mentre nel caso in cui vengano dedotti dei crediti non spettanti occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non siano utilizzabili in sede compensativa.”
Quindi, la Corte di Cassazione, di fronte a due diverse fattispecie del diritto di diversa gravità, che possono accavallarsi sul piano interpretativo, dispone la separazione delle fattispecie, portando alla fattispecie meno rilevante tutte le situazioni investite dal dubbio o in cui l’intento fraudolento non risulti suffragato dall’evidenza.