La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 8269 del 28 febbraio 2025, prende in esame il caso di un artista che cede le sue opere in formato digitale attraverso un NFT, acronimo di Non Fungible Token, ricevendo in cambio un corrispettivo per la cessione e delle royalties ai trasferimenti successivi.
Nell’ambito dell’arte telematica, l’utilizzo di un NFT è abbastanza comune, in quanto lo strumento è in grado di garantire la provenienza, l’unicità e l’autenticità dell’opera.
Ciò che caratterizza la situazione esaminata dalla Corte è il fatto, anche questo tutt’altro che inusuale, che il corrispettivo per la cessione percepito dall’artista fosse regolato in criptovalute, ether nel caso specifico.
Secondo il contribuente la cessione di NFT dietro pagamento in criptovalute non doveva rappresentare reddito imponibile, in quanto la rilevanza fiscale si sarebbe manifestata nel momento in cui le criptovalute incassate fossero state convertite in valuta fiat.
La sentenza 8269/2025 della Corte di Cassazione
Di ben diverso avviso è invece la Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza 8269/2025, ritiene che la cessione di un NTF, in questo caso, costituisce reddito imponibile in quanto cessione di una opera d’arte o comunque di un’opera dell’ingegno.
La fattispecie quindi, secondo l’interpretazione della Corte, non rientrerebbe nel campo delle plusvalenze da cripto-attività, ex articolo 67 comma 1 lettera c-sexies del TUIR, ma nel campo del lavoro autonomo, ex articolo 53 del medesimo codice.
Il fatto che tale opera sia stata incorporata in un supporto digitale, il Non Fungible Token, il quale esso stesso è l’oggetto digitale che viene trasferito nella compravendita, non cambia la sostanza dell’operazione, in quanto il NFT costituisce una sorta di certificato di autenticità dell’opera che si trasferisce attraverso di esso.
Inoltre neanche il fatto che il corrispettivo sia stato corrisposto in criptovalute costituisce elemento rilevante in questa situazione: semplicemente, per la corretta quantizzazione del reddito imponibile, l’ammontare percepito in criptovalute dovrà essere convertito in euro, quale valuta fiat corrente.
Fondamentalmente, in una cessione come quella qui esaminata, rientrante nell’ambito del lavoro autonomo, il fatto che il corrispettivo sia corrisposto in criptovalute costituisce una situazione assimilabile a quella in cui il corrispettivo sia pagato in natura, che può essere facilmente quantizzato in termini monetari attraverso una stima del valore del bene corrisposto.
Qualcuno potrebbe rilevare, come nota la stessa Corte di Cassazione, che le criptovalute sono soggette a notevoli fluttuazioni del prezzo; ma va detto che questo non costituisce un problema per la determinazione del valore alla data della cessione, dato che tali valori sono ormai facilmente identificabili dalle quotazioni delle criptovaluta a cui possono accedere facilmente anche i contribuenti privati.
In ragione di tutto ciò, anche nel caso in cui ci sia della buona fede nell’interpretazione fiscale, la mancata dichiarazione di un tale reddito, superati i limiti previsti dall’articolo 4 del Decreto Legislativo 74/2000, comporta la contestazione del reato di dichiarazione infedele.
Nel complesso la posizione assunta dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 8269/2025, presenta una sua coerenza interna.
Anche se qualcuno volesse contestare il fatto che una tale cessione costituisca davvero reddito di lavoro autonomo, andrebbe puntualizzato che l’applicazione dell’articolo 67 comma 1 lettera c-sexies, con ogni probabilità, non sarebbe comunque favorevole al contribuente.
Infatti la norma qualifica come redditi imponibili le plusvalenze e gli altri proventi derivanti dalla cessione di cripto-attività, eccezione fatta per il caso in cui avvenga una permuta tra cripto-attività “aventi eguali caratteristiche e funzioni”; se è vero, e lo è, che sia una criptovaluta che un NFT appartengono entrambi alla grande famiglia delle cripto-attività, tuttavia non sembrano quelle caratteristiche e funzioni similari richieste dalla norma, per cui la permuta di un NFT rappresentativo di un’opera d’arte con delle criptovalute con ogni probabilità costituirebbe una fattispecie imponibile anche ai sensi dell’articolo 67 comma 1 del TUIR.