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Piano del consumatore: non spetta ai fideiussori di attività d’impresa

18 Novembre 2025 in Notizie Fiscali

Con la Sentenza 11 novembre 2025, n. 29746, la Cassazione si è pronunciata in tema di qualifica di “consumatore” ai fini dell’accesso al piano di ristrutturazione dei debiti ex art. 67 D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – CCII).

Viene specificato che, secondo il nuovo codice della crisi, è considerata "consumatore" la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una società dei tipi disciplinati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del Codice civile.

La qualifica di "consumatore" spetta esclusivamente alle persone fisiche

La stessa persona fisica che esercita un’attività imprenditoriale o professionale può essere considerata "consumatore" solo quando stipula un contratto finalizzato alla soddisfazione di esigenze della vita quotidiana, estranee all’esercizio della propria attività.

Viceversa, devono essere qualificati come "professionisti", persone fisiche o giuridiche, coloro che concludono un contratto non necessariamente nell’ambito della propria attività principale, ma comunque per uno scopo connesso all’attività imprenditoriale o professionale.

Piano del consumatore omologato e poi revocato in sede di reclamo

La pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. I civile, 11 novembre 2025 n. 29746, trae origine dal procedimento avviato da un soggetto che aveva chiesto l’omologazione di un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore ai sensi dell’art. 67 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII).

Il Tribunale aveva omologato il piano, dopo aver ritenuto sussistente la qualifica soggettiva di consumatore e adeguata la proposta.

Contro tale decisione proponevano reclamo due srl, sostenendo che il soggetto non potesse essere considerata consumatrice.

I debiti per i quali richiedeva la ristrutturazione derivavano infatti da fideiussioni prestate in favore di due società nelle quali la stessa:

  • deteneva partecipazioni rilevanti (80% in una società e 60% nell’altra),
  • aveva ricoperto ruoli di amministratrice per anni,
  • aveva rilasciato le garanzie pochi giorni dopo la cessazione delle cariche, pur rimanendo socia di maggioranza.

La Corte d’Appello aveva accolto il reclamo revocando l’omologa, ritenendo che i debiti non fossero estranei all’attività imprenditoriale.

Il soggetto ricorreva per Cassazione affidandosi a cinque motivi, contestando:

  • erronea interpretazione della nozione di “consumatore” ex art. 2, comma 1, lett. e) CCII;
  • mancata considerazione dell’attività concretamente svolta al momento della domanda (non più imprenditoriale);
  • omesso esame di fatti decisivi;
  • nullità della sentenza per violazione dell’art. 101, comma 2, c.p.c.;
  • violazione dell’art. 115 c.p.c. e del giudicato interno.

Sosteneva, tra l’altro, che le garanzie fossero state rilasciate quando le società erano inattive e prossime al fallimento e che gli scopi perseguiti fossero personali, per evitare aggressioni derivanti da debiti successori. La Cassazione rigetta integralmente il ricorso, ritenendo corretta la valutazione in fatto svolta dalla Corte territoriale.

La Corte richiama i principi della giurisprudenza UE (Corte di Giustizia, cause C-74/15 “Tarcau” e C-534/15 “Dumitras”), secondo cui la tutela del consumatore non spetta quando il garante:

  • è amministratore della società debitrice, oppure,
  • detiene una partecipazione non trascurabile nella stessa,
  • e la garanzia è prestata in collegamento funzionale con l’attività imprenditoriale.

Questi elementi, afferma la Cassazione, ricorrono pienamente nel caso di specie.

Secondo la Corte, la prestazione di fideiussione: “costituisce vero e proprio atto strumentale all’attività del debitore ove il garante sia coinvolto nell’effettiva gestione dell’impresa”

E nel caso concreto il collegamento funzionale tra garanzie e attività delle società è “strettissimo”.

La Cassazione precisa che la definizione di consumatore del CCII:

  • non si discosta dalla previgente definizione della L. 3/2012,
  • non estende automaticamente la qualifica ai soci,
  • richiede comunque che il debito sia contratto per scopi estranei all’attività imprenditoriale.

Il cuore della pronuncia è contenuto nel seguente principio, espresso letteralmente nella motivazione: “Ne consegue che i requisiti soggettivi per l'applicazione della ‘disciplina consumeristica’ alla ricorrente sono stati motivatamente esclusi, proprio in ragione della sua peculiare ‘posizione’ nella vicenda societaria sopra descritta, dovendosi negare, nella fattispecie in esame, che la ricorrente avesse stipulato le garanzie in parola nella qualità di consumatore, al contrario avendolo fatto invece nell’esclusivo interesse delle due società. Tali fideiussioni, pertanto, si presentavano come a quelle società strettamente ‘funzionali’.”

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